Prima d’oggi non conoscevo la definizione di “sogno tecnocratico”…tante volte utilizziamo parole con la facilità con cui si può bere un caffè senza nemmeno accorgersi di averlo terminato. Ecco l’illusione dell’uomo ,e,mi permetto di aggiungere del terapeuta moderno; credere che inserendo un gettone in una macchina questa possa restituirci un “vivere adeguato”. Piacevole, quest’oggi, riflettere con le parole del prof. Folgheraiter, sull’illusione e sul delirio dell’uomo moderno che si illude di curare e di aiutare MANIPOLANDO “l’altro” da sé. Abbiamo creduto alla tecnologia dell’umano, ritenuto possibile manipolare l’uomo come tale, nel senso dell’esperienza umana, che invece di plasmabile non ha proprio un bel niente… “DISTILLATO DI PURA PAZZIA”, ha definito ancora il prof. Folgheraiter questa illusione di plasmare realtà ‘umanistiche’.Viviamo, come operatori della salute, in un contesto socio-sanitario in cui il troppo denaro ci ha “rimbambiti” e portati alla managerializzazione della medicina, ed alla medicina fatta di PRESTAZIONI-RISULTATO e infarcita di “EVIDENCE BASED”. Va bene se a parità di prestazione ho avuto guarigione, risultato, evidenza. Ma l’umana misura e l’umana esistenza non possono nutrirsi di calcoli, o modulare la propria essenza su un calcolo probabilistico inserito in un grafico tra ordinate e ascisse. Queste parole del prof hanno risvegliato in me il ricordo di uno dei nostri incontri di gruppo… in cui ci siamo chiesti che significato avesse per noi la parola MIGLIORAMENTO. “L’ammalato è migliorato, l’ammalato ha avuto un miglioramento”; domandandoci che fine facesse l’ammalato che, per qualche motivazione magari indotta dalla cronicizzazione della sua patologia, avesse avuto uno di quelli che la medicina ufficiale chiama “peggioramenti”. Quanta aspettativa, che si crea dietro questa illusione di miglioramento! Nell’ammalato, in primis, che affronta, come umanamente è comprensibilissimo accada, ogni nuovo accertamento diagnostico sperando di essere MIGLIORATO. E nei parenti, che sperano insieme all’ammalato. E  negli operatori, che spesso legano inscindibilmente la loro mission alla GUARIGIONE, dove guarigione per loro significa completa remissione di sintomi e patologia. E se invece la rivoluzione fosse nell’aiutare il malato a trovare in sé (e dunque a reclutarle) le CAPACITA’ ADATTIVE alle nuove circostanze? Invece di illudere che la ipertecnologizzazione della medicina sia la panacea ad ogni male? MIGLIORARE è per noi del gruppo essere esattamente nel “qui ed ora”, stare così come si sta, in un gioco di adattamenti, di capacità di plasmarci al cambiamento, il miglioramento esiste solo come prendere per sé e da sé “IL MEGLIO CHE LA CONDIZIONE ATTUALE CI CONSENTA”. In tutto questo il self-help e le strategie che il lavoro di gruppo concede a mio avviso sono una economica e concreta possibilità di MIGLIORARE e di ritornare alla dignità dell’individuo, una sorta di strada di ritorno verso il “to care”, il prendersi cura, finalmente compagno di viaggio del to cure, il curare la patologia in quanto tale.

Giovanna Lupis

Amacuore Bari al convegno di Brescia sul “Self Help”